COGITO ERGO ACQUISTO
neuromarketing, cos'è e come nasce questa disciplina
a cura di Nina Martorana
23/08/23
“Che cosa pensa veramente chi fa acquisti?”. Questa è la domanda che si pone Martin Lindstrom nel suo libro “Neuromarketing: attività cerebrale e comportamenti d’acquisto” pubblicato nel 2009, una questione alla base di una disciplina tanto nuova quanto incredibilmente rivoluzionaria: il neuromarketing (termine utilizzato per la prima volta solo nel 2002 da Ale Smidts, premio Nobel per l’economia) è l’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche alle strategie di marketing, al fine di un’analisi dei processi irrazionali della mente del consumatore per influenzarne le decisioni d’acquisto o il coinvolgimento emotivo verso un brand specifico.
Le teorie e gli studi sull’importanza dell’inconscio nei processi decisionali del cervello umano non mancano nella storia che precede gli anni 2000; possiamo anzi risalire fino al 200 a.C., epoca di un trattato indiano sulle arti e lo spettacolo chiamato Natasyastrata che, nella dettagliata analisi delle diverse forme di rappresentazione, si sofferma sull’impatto che ognuna di queste ha sulle percezioni dello spettatore. Un bel volo pindarico, che in quest’ottica pone il pubblico del teatro sullo stesso livello dei consumatori: pubblico (inconsapevole) dei progetti di marketing delle aziende.
I primi esperimenti di neuromarketing arrivano però ben più tardi, nel 1971, quando Herbert Krugman conduce degli studi sulle onde cerebrali attraverso la lettura dell’encefalogramma, utilizzando tecniche di scansione cerebrale e sensori biometrici di analisi.
In Italia questa disciplina è arrivata nel 2003 grazie a 1TO1LAB, una delle prime società ad occuparsi esclusivamente di neuromarketing, e solo nel 2016 viene fondata AINEM (Associazione Italiana Neuromarketing).
È incredibile come un settore di analisi ancora ai suoi albori abbia rivelato così precocemente le sue potenzialità, permettendo a note aziende come Coca-Cola, Ford, Google e Microsoft (per citarne solo alcune) di creare legami saldi, quasi generazionali, con i propri consumatori. Questi legami sono basati su un certo tipo di fiducia inconsciamente riposta nel brand, che spinge a preferirlo a qualsiasi altro competitor (chiedete a chi beve Coca-Cola cosa ne pensa della Pepsi, avanti, vi sfido). È un campo di ricerca così importante da approfondire che la maggior parte delle società di marketing e delle agenzie pubblicitarie hanno acquisito specifiche divisioni di neuromarketing per tenersi al passo, mentre il numero delle società esclusivamente specializzate in questo settore è in costante crescita dai primi anni del 2000 – quando abbiamo visto prendere piede i primi studi a riguardo.
(image courtesy of Google)
Per comprendere profondamente quali tecniche e strategie di mercato siano le più adatte ad intercettare i bisogni del consumatore e, così, poterli soddisfare influenzandone le scelte d’acquisto, è fondamentale riuscire a rintracciare le variabili più intime ed evanescenti della sua mente; sicuramente non un compito semplice, visto che il più delle volte queste informazioni sono inaccessibili persino al consumatore stesso – e solo lunghe sedute di psicoterapia lo aiuteranno a capire il perché ha sentito il bisogno di comprare non una, ma 15 dannate candele da IKEA.
Per trovare soluzioni efficaci, le aziende si servono di strumenti più tradizionali come questionari di mercato, interviste e focus groups; ma, come affermato da un noto pubblicitario – David Oglivy – le persone “non pensano quello che sentono, non dicono quello che pensano, non fanno quello che dicono” e ciò rappresenta un limite troppo grande delle teorie economiche classiche, basate sul presupposto che il consumatore sia un individuo razionale e subito in grado di stabilire cosa vuole con assoluta certezza, e che inoltre sappia effettuare un bilanciamento di costi e benefici quando messo di fronte a varie alternative. Le problematiche di tale approccio, che non tiene conto di una serie di fattori “emotivi” che fanno da contrappeso alle scelte d’acquisto, rendono obsolete o non attendibili le informazioni ottenute dalle classiche ricerche di mercato, perché queste sono filtrate dalla razionalità di un sistema di pensiero postumo alla scelta stessa, logico e riflessivo. Ad oggi, a vent’anni dalle prime applicazioni delle neuroscienze nel campo del marketing, queste tecniche d’indagine non sono più sufficienti se non integrate con le metodologie che approfondiscono il campo dell’inconscio.
Esattamente con questo obiettivo viene asservita al marketing la neuroscienza, insieme di studi condotti sul sistema nervoso e disciplina che, grazie ad uno sviluppo costante e sempre più sofisticato della tecnologia, sta conoscendo una rapida espansione (basti pensare a tutti i dispositivi non invasivi per lo studio dei processi neuronali e cognitivi del cervello che abbiamo ora a disposizione, come le tecniche di neuroimaging – banalmente, la risonanza magnetica –, l’eye-tracking etc.…). È proprio grazie a questi viluppi che i neuroscienziati sono stati in grado per la prima volta nella storia dell’umanità di affrontare questioni astratte ed empiricamente, fisicamente, impossibili da accertare (ad esempio come la cognizione umana e le
emozioni siano mappate da substrati neurali molto specifici).
Negli anni Ottanta l’approccio classico della psicologia cognitiva – o cognitivismo –, che mette al centro processi percettivi, attenzione, memoria, linguaggio ed emozioni dell’individuo e che fino ad allora era basato sull’analisi dell’informazione (il modo in cui essa è acquisita, elaborata, archiviata dal cervello), comincia a tenere conto di fenomeni come la coscienza umana.
Anche in questo campo, si assiste ad uno scavalcamento degli schemi tradizionali per raggiungere l’innovazione. Gli scienziati stanno ben attenti ad utilizzare parole come “rivoluzione scientifica”, ma Marlene Behrmann – professoressa di neuroscienze cognitive alla Carnegie Mellon University – è certa che la neuroscienza sia alla vigilia di una nuova epoca: “abbiamo ancora tanta strada da fare, ma penso che stiamo facendo davvero degli ottimi progressi. Le domande che ci poniamo sono profonde e davvero spinose, ma è davvero un momento storico eccitante per lavorare in questo campo di applicazione” (https://www.weforum.org/agenda/2014/09/understanding-human-brain/).
Le applicazioni pratiche delle neuroscienze al marketing permettono quindi di:
- identificare i meccanismi cerebrali di una determinata scelta d’acquisto.
- analizzarne i processi inconsci (perché preferiamo sempre la bottiglia di vino più costosa? Sarà che intuitivamente associamo un certo tipo di soglia di prezzo alla qualità del prodotto?)
- - capire le differenze fra i vari tipi di consumatori.
- - prevedere i loro comportamenti d’acquisto.
A fronte, poi, dei repentini mutamenti della società e dei suoi equilibri, dovuti alla globalizzazione e ai processi tecnologici, il marketing deve necessariamente adattarsi a nuove tecniche di mercato; oggi il consumo ha assunto un valore simbolico, non sempre positivo. Siamo anzi in un epoca storica in cui si tende a riassorbire tutte le spinte capitalistiche del passato, less is better per le nostre tasche e per il beneficio di un’economia che vira sempre più verso il sostenibile, i valori che portano un brand al successo sono cambiati e derivano soprattutto dal tipo di emotività che scatenano nei consumatori, a loro volta più informati e stimolati. Il bombardamento mediatico è continuo: è paradossale, però, l’idea che solo una piccolissima percentuale di informazioni riesca davvero a superare le barriere percettive degli individui, stimolandone un reale e sincero interesse. Questa è la consapevolezza che porta alla nascita di forme di marketing piuttosto atipiche, come il “marketing emozionale” o l’economia comportamentale (che applica la psicologia allo studio delle decisione economiche, indagando il rapporto tra razionalità e questioni economico-finanziarie).
In conclusione, sono vari i livelli che un’azienda deve tenere in conto per lo sviluppo e la vendita di un prodotto o di un servizio, una piramide di aree di interesse da approfondire come: attenzione, emozione, ricordo. Tutto ciò è diventato possibile grazie al neuromarketing, uno dei modelli di innovazione destinati a cambiare (in meglio?) la storia del business.
(image courtesy of https://neuromarketing.org.mx/en/our-model/)